Ancora c’è da capire se la notizia verrà confermata ma comunque è già una dimostrazione che dopo 50 giorni dall’inizio della guerra, l’Occidente comincia a mostrare qualche crepa nella sua solidità contro la Russia. Basti citare il parziale cambio di direzione della Germania che ora ha un atteggiamento molto più prudente sul tema sanzioni e ritorsioni nei confronti della nazione governata da Putin. I tedeschi si sono resi conto di quanto siano importanti le forniture di gas e petrolio per le imprese e per le persone. Come sempre dunque l’economia la fa da padrone. Ovviamente si prova solidarietà nei confronti degli aggrediti e dei profughi ucraini, ma fa paura il futuro e lo sguardo si rivolge presto ai propri interessi.

La vita è di tutti i giorni; i grandi valori, i principi, passano parecchio sopra le teste. Il lavoro, la spesa conveniente al supermercato, le bollette, il riscaldamento o il fresco d’estate, la gita al mare: questo conta, perché è la vita di tutti i giorni. La difesa della libertà e della democrazia, far pagare con giustizia la responsabilità di un’aggressione militare e di massacri indicibili, sono questioni più lontane, più sullo sfondo.

A distanza di tempo gli effetti reali delle sanzioni, nel nostro vissuto quotidiano, non sembrano essere così incisive. Certo, tutti prevedono la decrescita significativa dell’economia russa. Ma ci vorrà tempo. E quanto inciderà davvero sul corpo sociale russo? che effetti reali quindi avrà, funzionali alla difesa dei valori occidentali?

Il valore del rublo, la moneta russa, sembrava dovesse frantumarsi nel giro di pochissimo tempo, esponendo la popolazione a conseguenze pesanti, a cominciare dall’impennata dell’inflazione. Si pensava che fosse, anche questo, un modo per mettere in difficoltà la cortina artefatta di consenso. In realtà il rublo si difende bene. Non possiamo entrare qui in dettagli sul come ciò stia avvenendo. Ma avviene.

A occidente intanto l’inflazione ormai ci tocca da vicino. Ciò che prima della invasione russa era considerato un fenomeno passeggero dovuto (semplifico) alla ripresa ripida e contemporanea delle attività economiche dopo la pausa forzata del Covid, adesso è da molti ritenuta strutturale. Le cause sono molteplici (ricordiamo sempre quanta complessità governi il mondo), e c’entra certo parecchio anche la guerra russa. Tutti fattori che interagiscono e si influenzano a vicenda.

Per dire, i porti cinesi nuovamente chiusi, o quasi per via della nuova fase di lockdown duro contro il Covid, creano ritardi nella spedizione di merci; diventa difficile il normale flusso di container per trasportarle. I flussi commerciali subiscono aumenti di costi: se tanti container sono bloccati in Cina, mancano altrove e se ce ne sono meno, costa di più noleggiarli.

Aggiungiamo un altro esempio: per produrre c’è bisogno di energia; il gas dalla Russia da tempo ha prezzi elevati e si porta dietro anche il rincaro dell’elettricità. Il rialzo dei costi da qualche parte alla fine si scarica, non è difficile capire dove. L’inflazione diventa fattore di preoccupazione. Non è speculazione di chi ne approfitta, come si sente nelle chiacchiere al bar. C’è anche quella, come sempre, ma i fenomeni sono ben più complessi.

Ancora: l’urgentissima crisi climatica. Nonostante i canaglieschi seminatori di dubbi, la comunità scientifica mondiale è assolutamente concorde nel ritenere che siamo molto, molto vicino al superamento del punto di non ritorno nel riscaldamento del pianeta che potrebbe condurre alla catastrofe.

Come tutte le cose che non hanno presa diretta sulla vita quotidiana, quella che tocchiamo con mano ogni santo giorno, non è istintivo sentire come nostre vere preoccupazioni quelle che riguardano il futuro e non il presente: la chiamano “tragedia dell’orizzonte temporale”. Anche se ormai gli eventi climatici estremi, sempre più frequenti, ci stanno svegliando. Almeno l’Europa sta spingendo molto perché le cose cambino e, non a caso, mai come adesso si parla di transizione ecologica e di decarbonizzazione dell’economia, nonostante svariate e pervicaci resistenze. Che ovviamente ha e avrà dei costi da sostenere. Non è pensabile che si possa abbandonare un’economia che per decenni si è basata sull’energia cosiddetta fossile, senza pagare un conto. Ogni trasformazione ne comporta, sempre. Il punto vero è considerare che quel conto sarà sempre inferiore a quello che pagheremmo se non intervenissimo. Siamo consapevoli che economia, società e politica sono intimamente connesse, da sempre. Un sistema fortemente complesso.

Pensiamo agli ultimi 15 anni. Sullo sfondo i grandi fenomeni in evoluzione: globalizzazione, sviluppo tecnologico e digitale, migrazioni, crisi climatica. Su di essi si sono innestate la grande crisi scaturita dalla finanza nel 2007- 2008, la crisi dei debiti sovrani in Europa del 2011, il Covid dal 2020. Ora la guerra, le sanzioni, che incidono forse non così efficacemente e velocemente sulla Russia, le conseguenze tangibili sulle nostre economie.

Le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso anche per l’Italia: il Documento di Economia e Finanza 2022 approvato dal Governo a inizio aprile riduce la previsione tendenziale di crescita del PIL (prodotto interno lordo) per il 2022 dall’originario 4,7% al 2,9% e dal 2,8% al 2,3% per il 2023, principalmente per il peggioramento della situazione economica dovuto alla crisi ucraina.

 

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