La Pasqua − festa mobile celebrata la prima domenica dopo il plenilunio di primavera, nel periodo equinoziale in cui si assiste al risveglio dei semi intorpiditi dal gelo invernale − è una delle feste più antiche della liturgia cristiana e le sue radici affondano nelle tradizioni non solo ellenistico-romane ma celtiche, germaniche, baltiche, slave, fino a quelle orientali.

Perché la Pasqua è fondamentalmente festa del rinnovamento cosmico, della vittoria sulla morte, della resurrezione degli dei e della natura con loro, festa che si traduce nel denso e complesso simbolismo dei cibi sacrali con cui la si celebra: l’agnello, la colomba, l’uovo. Ed è di quest’ultimo, il più antico e più diffuso, che ci occuperemo.

Da un punto di vista strettamente pratico, l’uovo pasquale può esser considerato memoria di vecchie tradizioni, quando − dopo l’orgia del Carnevale e i digiuni della Quaresima – lo si consumava, preventivamente assodato perché si conservasse durante tutto l’inverno, come ultima indispensabile scorta prima che, con il tepore della primavera incipiente, la rinnovata fecondità della terra allontanasse lo spettro della fame.

Se invece ci trasferiamo su un piano sacrale, ecco nei miti cosmogonici di numerose religioni l’uovo cosmico, simbolo della perfetta unità degli elementi prima che dalla loro divisione nascessero l’universo e gli esseri viventi. Ma poiché è anche antichissimo simbolo di morte e resurrezione, ecco che l’uovo passa a significare la rinascita della Natura a primavera. In seguito, con l’avvento del cristianesimo, in quanto entità monocellulare costituita tuttavia da guscio, albume e tuorlo, esso diverrà simbolo sia della Trinità sia della Resurrezione del Cristo che infrange vittorioso il “guscio” del sepolcro. E dunque, come l’uovo raffigurato nelle tombe dei primi martiri è simbolo della Vita eterna, il pulcino che esce dal guscio è stato per i primi cristiani metafora della Resurrezione.

Un tempo si celebrava la “Pasqua d’Uovo” donando e consumando uova sode colorate benedette in chiesa, rivestendo così di una patina religiosa la tradizione, perpetuata in molti luoghi fin nel lontano Oriente, di scambiarsi uova decorate come augurio di fertilità della terra e di abbondanti raccolti.

Su questa linea, le uova rosse distribuite a Pasqua nella Piana degli Albanesi (Palermo) si rifanno forse alla tradizione romana di seppellire un uovo rosso nei campi per favorire i raccolti. E il rimando alla fertilità è implicito nella presenza delle uova intere nelle focacce pasquali di molte regioni italiane. Uova che si nascondono nella genovese torta pasqualina dalle trentatré sottilissime sfoglie (trentatré come gli anni del Cristo), che trionfano, ancora una volta col guscio colorato di rosso, sulle titole friulane, che gonfiano dolcemente il ventre della siciliana pupa ccu l’ova.

Nelle scene tombali etrusche i defunti a banchetto tengono a volte in mano un uovo, metafora del loro percorso nell’oltretomba, proprio come certe statue di Dioniso, il dio ucciso e smembrato e poi rinato dalla gamba di Zeus che vi aveva ricucito i vari pezzi.

E, se ci rivolgiamo al ricco materiale dei miti e delle fiabe popolari, troviamo che è proprio dal suo nido a forma di uovo che rinasce la Fenice che vi si è fatta incenerire dai raggi del Sole; che sempre dalle ceneri rinasce l’uovo da cui esce il leggendario Uccello di Fuoco; che in un uovo Koshej l’Immortale, personaggio della mitologia slava, ha nascosto la sua energia vitale.

Sembra che la consuetudine di bollire le uova avvolte in foglie e fiori che le colorassero in modo piacevolmente naturale sia nata in età medievale in Germania, dove venivano distribuite alla servitù. Il popolo le usava come umile dono fra conoscenti; le classi abbienti le sostituivano con uova di metallo pregiato.

Al re Sole si attribuisce il merito di aver fatto realizzare al suo chocolatier il primo uovo di crema di cacao, mentre quello dal sottile guscio di cioccolato in cui inserire un piccolo dono si dice creato nel 1828 da un cioccolatiere olandese, Van Hauten: un’idea tuttavia rivendicata dai torinesi come loro tradizione in vigore sin dal secolo precedente.

Nel frattempo, dalle uova dolci o metalliche si era passati a quelle di altissima oreficeria inaugurate da Peter Carl Fabergé, attivo alla corte degli zar. La preziosità della sua prima creazione, commissionata dallo zar come dono alla sua sposa, era accresciuta da un secondo uovo d’oro inserito nel primo e contenente a sua volta un pulcino aureo e una riproduzione in miniatura della corona imperiale.

Piuttosto recente è invece la comparsa, accanto alle uova e alle campane di cioccolato (che rinviano al tradizionale “sciogliersi delle campane” alla mezzanotte del Sabato Santo) di un proliferare di misteriosi, inspiegabili coniglietti. E ad un sedicente Coniglio Pasquale, Aster Bunnymund, è affidata nel cartone animato della Disney, I 5 guardiani, la Speranza di salvare l’umanità dal Male.
Il motivo? Due leggende − di cui una più antica, anglosassone, e una seconda legata alla tradizione tedesca – assai diverse fra loro ma entrambe legate a Eostre, dea della fertilità. Una dea che nel VII secolo gli anglosassoni rappresentavano sotto forma di lepre o di coniglio selvatico, e dal cui nome sarebbe poi derivato Easter Bunny, il coniglietto pasquale appunto. La lepre e il coniglio, animali particolarmente fecondi che all’inizio della primavera si scatenano nei prati in sarabande amorose presagio della rinascita della natura e della riacquistata fertilità.