Fino a qualche mese fa ero decisamente perplessa riguardo alla funzione dei social network, dai quali mi sono tenuta distante con convinzione. Pur consapevole dell’importanza economica (e anche antropologica) che hanno, non credevo che potessero essere un reale fattore di aggregazione, di conoscenza e di scambio tra le persone. Mi ha convinto a rompere il ghiaccio l’esperienza e lo sprone di un’amica coetanea, persona che stimo per acume e discrezione: se si è convertita lei, allora vuoi vedere che ne vale davvero la pena, ho pensato.

E la smentita alle mie inossidabili valutazioni è arrivata man mano che andava timidamente avanti il mio cammino nella selva oscura e sconosciuta di Instagram. Sbagliando hashtag, pasticciando storie, cancellando post che non riuscivo a modificare, taggando a sproposito, ma anche cominciando a prenderci gusto, a divertirmi, a giocare con le immagini, la musica, i testi.


Ho scoperto innanzitutto un gran numero di contenuti interessanti, non solo sul vino, ma anche su altri argomenti che mi stanno a cuore. Ho trovato uno strumento in grado di appagare la mia curiosità, di stimolarla, di prospettarmi un panorama diverso da quello statico a cui si ancorava il mio innegabile pregiudizio. In una parola, ho trovato un’inattesa qualità (beninteso, in mezzo a tanto ciarpame, ma per fortuna si può scegliere chi e cosa seguire e il problema non si pone proprio).


Oltre ad aver scoperto bottiglie che non conoscevo, approfondito territori e storie di produttori, soprattutto ho apprezzato il grande interesse e l’impegno di chi posta immagini e testi, trasversale alle generazioni, l’interazione che ne segue. Certo, c’è moltissima fuffa, moltissimi contenuti copia-incolla e un mare di superficialità, ma sarebbe disonestà intellettuale negare la presenza fittissima di gente seria, che di vino ne sa e ne sa parlare, così come tante sono le persone che sono in fase di apprendimento e che si servono di IG per mettersi in gioco e per crescere.


Un’enorme, sconfinata tribuna, o se si vuole un anfiteatro globale in cui si può scegliere dove prendere posto e a quale spettacolo assistere.
La demolizione definitiva del muro di diffidenza è avvenuta grazie all’incontro con la cosiddetta materia viva: ossia la conoscenza diretta degli individui con cui più o meno quotidianamente interagisco. È stato ottobre il mese della svolta. Per una serie di fortunate coincidenze, ho cominciato a incontrare persone e non c’è stato ancora un caso in cui mi sia detta: la realtà mi convince meno di quel che vedo e leggo sullo schermo dello smartphone.

Il momento ad oggi più bello di questa progressiva scoperta è stato proprio a fine mese, in un luogo e una circostanza d’eccezione: il press tour organizzato da Milko Chilleri per celebrare le sessanta vendemmie di Fattoria Santo Stefano, tenuta familiare incastonata nelle colline di Greve in Chianti. Due bellissime sorprese, una all’arrivo in stazione a Firenze, un’altra in Fattoria: altre due insta-conoscenze che ho finalmente incontrato vis à vis con grande gioia!

All’arrivo in Fattoria, accolta dalla calorosa gentilezza della famiglia Bendinelli, saluto le conoscenze pre-social e mi unisco al gruppo di giornalisti, sommelier, instagrammer per il giro nel vigneto, una bellissima passeggiata accompagnati dalla luce soffice di ottobre.
La grande tenuta fu acquistata nel 1961 dall’avvocato certaldese Mario Bendinelli, appassionato di vigna e uliveta. Nel 2000 i figli subentrano nella gestione aziendale e grazie alla collaborazione con l’enologo Giampaolo Chiettini si passa progressivamente dalla commercializzazione di solo vino sfuso alla produzione in bottiglia.

Il rispetto per la cultura contadina e per questa natura meravigliosa emerge bello chiaro dalle parole di Elena, Chiara, Agostino, Anna, che ci accompagnano alla scoperta del loro luogo del cuore.
Ci raccontano aneddoti significativi di una civiltà contadina antica e dignitosa, nella sua frugalità perfettamente in sintonia con l’urgenza drammaticamente contemporanea di tutelare la Natura. In vigna si chiacchiera, ci si conosce, si ascolta e si racconta. C’è una fluidità di contatto e di scambio per nulla scontata. Dopo aver visto le varie parcelle in cui sono suddivisi i 19 ettari vitati, rientriamo in fattoria e ci accomodiamo ad un lunghissimo tavolo; otto calici davanti ad ogni postazione, come le annate della verticale del Chianti Classico Fattoria Santo Stefano, che sarà condotta da Leonardo Romanelli.


L’andamento delle otto stagioni ci viene presentato dall’enologo, che motiva le scelte vendemmiali dettate dalla conoscenza dei singoli appezzamenti e da un approccio razionale e misurato.


2006: annata regolare, di buon equilibrio. Sorprende la verve acida di questo vino quindicenne, che svela l’età con un’unghia granato e un colore diluito. Salvia e un finale di rosa appassita, alcool non dominante. Snello.
2007: già al naso si sente il clima più caldo di questa vendemmia. Profumi più dolci, maggior avvolgenza di bocca, il colore è appena più vivo del precedente ma comunque indicativo degli anni trascorsi in bottiglia. Come la 2006, il tannino ha iniziato la fase conclusiva.
2008: andamento annuale equilibrato, simile al 2006, sicuramente con più carattere e concentrazione; qui il rubino ha mantenuto maggior vividezza, il naso parla di erbe mediterranee, di frutta nera non cotta, il tannino è ancora integro.
2010: annata tra le più fredde nel corso dell’anno. Il colore tiene bene, note di eucalipto, di alloro, di frutti rossi maturi, caldo e avvolgente, note evolutive di tabacco, bello e integro il tannino.

2014: prima della vendemmia le uve hanno sofferto un pesante attacco di tignola, dovuto alle piogge e alle alte temperature invernali. Annata difficile per definizione, ma in questo caso emblematica di come, conoscendo le proprie vigne e selezionando, si possano raggiungere ottimi risultati. Assaggiamo in magnum il Chianti Classico Riserva Drugo, che oltre al dominante Sangiovese ha un piccolo saldo di Cabernet Sauvignon e Merlot. Note eleganti di frutti rossi e viole, terziari presenti ma non dominanti, il tannino è in bell’accordo col calore alcolico.
2016: annata giustamente celebrata, di grande equilibrio. Qui parla davvero il Sangiovese, quello fresco di queste valli di Greve, preciso, pulito, di una pienezza non pesante.
2017: di nuovo un’annata calda, che si ritrova nel corpo del vino, nei profumi intensi e lievemente speziati, nella morbidezza.
2018: si torna ad una stagione equilibrata. Il tannino deve ancora amalgamarsi del tutto ma è già bello, il vino è snello, fresco, piacevolissimo adesso ma con profumi e dinamica che lasciano presagire un bell’avvenire, avendo la pazienza di lasciarlo riposare in cantina.


Al termine della degustazione, di per sé già estremamente interessante, un altro fondamentale momento: la condivisione delle impressioni tra i presenti, un girare di calici e di confronti a voce serena, di spunti e sfumature diverse che mi regala una sensazione appagante, costruttiva. È questo che mi piace, non la mera conferma di una mia valutazione organolettica: ascoltare chi ha sentito e assaporato sfumature diverse, per provare poi a cercarle, magari senza riuscire a trovarle tutte, ma è così che si costruisce e si consolida l’esperienza, con la testa e i sensi in ascolto. Del vino e delle persone. La celebrazione di questo importante traguardo di famiglia per Fattoria Santo Stefano si conclude in bellezza, nella barriccaia allestita per il pranzo. Quanto di più accogliente e conviviale si possa immaginare. Tovaglie ricamate, luci giuste, i piatti della tradizione rivisitati con garbo dallo chef Matteo Caccavo dell’Osteria Pratellino di Firenze, il vino assaggiato poco prima ad accompagnarli nel migliore dei connubi, insieme all’olio extra vergine della Fattoria.

Ancora chiacchiere, a tavola ovviamente ancora più distese; si trovano affinità personali, gusti comuni, la curiosità come attitudine condivisa. Tutti i miei vicini di posto sono attivissimi sui social, se penso che fino a poco meno di un anno fa avrei scosso dubbiosa la testa di fronte ad una simile prospettiva…

E invece quanto è divertente, stimolante e giocoso essere smentiti!