Sembra che si sia dovuto chiudere in fretta e furia, senza neanche il tempo di rimettere a posto i macchinari. Tutto è rimasto esattamente come era stato lasciato nel 1981, quando chiudeva anche l’ultima miniera di ferro dell’isola d’Elba. Quarant’anni fa.

Uno scenario da archeologia industriale fatto di scheletri arrugginiti e cingoli rotti. Rottami appoggiati su un angolo di paradiso dai panorami mozzafiato. Qua e là si trovano ancora carrelli rovesciati, antichi binari, resti di locomotive, tubi, cavi e cremagliere rotte. Come se neppure il ‘tempo’ avesse avuto modo di adeguarsi e fosse stato suo malgrado travolto dall’erosione.

E allora la fantasia corre, immagina le ferrovie e i treni a vapore, i pontili attrezzati, le funivie, le centrali elettriche. All’epoca il turismo non esisteva e i minatori si spostavano come potevano. Alcuni arrivavano da Portoferraio. A piedi o coi somari. Come Enzo Marchetti, classe 1929, che negli anni Quaranta, diciassettenne, tutti i giorni si svegliava alle 3 del mattino per raggiungere a piedi le miniere di Ortano entro le 6, orario di inizio del turno di lavoro. Poi c’era anche da tornare a casa.

Enzo, scomparso lo scorso anno alla veneranda età di 90 anni, era riuscito poi con grandi sacrifici a comprarsi la motocicletta. Era il suo orgoglio. “Tenevo più a lei che alla mi’ mamma”, raccontava fiero. Quando arrivava in piazza a Portoferraio, per paura che gliela toccassero, se la portava a casa, un piccolo appartamento di 50 metri quadri dove vivevano in sei. La prendeva sottobraccio e via su per una ripida rampa di scale fino a vicolo dell’Oro al numero 8.

“Un uomo forte, una roccia,” – ci confida sua nipote Alessia Datti – “che quando passò a lavorare come meccanico di officina per la società del signor Lorenzi, l’autorimessa degli autobus urbani a Portoferraio, sollevava gli autobus e i pulmini. Una volta lo videro sollevare una Fiat 500 per aiutare una persona che ci era finita sotto. Tutti lo ricordano con affetto, quando incontro suoi amici o conoscenti e mi presento come la nipote, figlia della sorella minore, vedo brillare i loro occhi, ricordando la bontà d’animo di un uomo rude ma non burbero”. Parole che toccano il cuore quelle di Alessia, pronunciate con affetto e un filo di emozione.

Nel 1981, dopo tremila anni di intenso sfruttamento, le miniere venivano chiuse. Si direbbe abbandonate. Non che ci fosse più ferro, solo che all’Italsider, la concessionaria, comprarlo altrove conveniva di più.

Eppure l’estrazione era sempre interessata a tutti, agli etruschi e ai romani prima, poi ai pisani e ai genovesi. Nel Rinascimento a Cosimo I de’ Medici e infine, ça va sans dire, all’esiliato più famoso di tutti i tempi, Napoleone.

Gli impianti erano stati tra i più moderni in Europa, il pieno regime si era registrato tra la fine degli anni Venti e la fine degli anni Sessanta, proprio ai tempi di Enzo. Quando apriva lo stabilimento siderurgico di Portoferraio, l’altoforno per la ghisa e l’acciaio. Era stato un quarantennio di duro lavoro negli impianti di estrazione e trattamento dei materiali ferrosi. Ematite, pirite, magnetite e limonite. Oggi di quell’epopea sono rimasti i colori.

Punta Calamita a Capoliveri, Rio Marina e gran parte della zona orientale dell’isola rappresentano un parco mineralogico a cielo aperto. Paesaggi lunari incorniciati da spiagge da sogno.

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