Addì 2 febbraio 1812

Mi appresto a prendere in mano la locanda indove ho servito da più di un anno e quivi prenderò domicilio fisso, che c’è anche la mia casa.

Ho preso alla legatoria questo registro ove segnerò le cose più notevoli, I fatti – uso il cronicon di Chiesa – e quelle cose che avranno interesse per me, che sarà una bella miscea di rime e cose con tanta roba di cucina che l’amico di Padre Antonio mi ha insegnato e che un poco conoscevo, che già da bambino la vecchia Didda di S. Martino m’aveva avviato alla conoscenza delle erbe da pasto e da medicamento.

Ecco che ora tengo due libri mastri, uno che è per riportare le mie cose e quell’altro per il disbrigo ordinario del lavorio di locanda, e per i birri che sono peggio delle mignatte d’Arno.

Un paio di libri di garbo me l’anno regalato i Frati di S. Lucia quando ci siamo dispersi a causa dei francesi e della rivoluzione.

Che Dio m’aiuti in quest’impresa.

Comincia così lo straordinario manoscritto di “Pennino”, locandiere di Ponte a Signa, fortunosamente ritrovato dallo studioso Franco Tozzi e pubblicato nel 1996 dal Masso alle Fate. Ed altrettanto fortunosamente capitato nelle mie mani di cultrice di gastronomia storica.

E di storia ce n’è tanta, in questo libretto apparentemente di cucina ma che fra una ricetta gastronomica e l’altra inserisce quelle di numerosi medicamenti a base di erbe, un menù, una lista della spesa, un inventario delle attrezzature di cucina, ma anche informazioni sui gusti alimentari dei segni zodiacali, ragguagli sulla condizione di ponti e strade, voci di scontento per la situazione presente e timori per quella futura, citazioni poetiche, filastrocche e stornelli.

Pennino, al secolo Luigi Bicchierai (1792- 1873), inizia giovanissimo il suo addestramento nelle cucine del convento di Santa Lucia (Lastra a Signa) i cui frati gli insegnano a leggere e scrivere.

La sopraggiunta ondata napoleonica lo trascina nuovamente nella locanda di famiglia (la “Locanda Bicchierai al Ponte è citata in documenti della metà del Seicento) dove svolge la mansione di garzone fino alla morte del padre (1812) e da dove annota gli eventi politici, gli intrighi locali e i continui passaggi di mano delle redini del governo della Toscana:

12 febbraio 1814

Anche la Baciocchi l’è ita via. Cosicché di napoleonici non v’è più nessuno e il prode Giovacchino Murat, che ha barattato giubba, ha messo sotto la casa d’Austria Firenze e tutto il Granducato.

Gran carriera per i voltagabbana!

E tanti s’avranno da contare finché dura questa buriana!

12 aprile 1815

Ora siamo proprio a cavallo ironizza – sono arrivati 80 cavalleggieri napolitani … L’osteria è serrata che non posso abbeverare e sfamare, aufo, tutto l’esercito di Murat.

18 novembre 1864

Eccosì il Piemontese ha deciso che Firenze l’è bellina e sgombera da Torino. Gli ha fatto una legge che porta il Re e lo strascico alla Capitale del Granduca. Ormai Canapone non potrà più tornare, è davvero finita.

Informatissimo, quindi il nostro Pennino, e non solo sugli eventi della politica, ma sulla situazione del popolo:

L’è trucia bigia in questo borgo, che gli scompensi di governamento hanno portato alla carestia, ci manca la farina eppoi il pane…. E ancora: È passata l’acqua più grossa e così c’è da sbellettare tutta la strada dalla mota dell’Arno… Questo sfuriare dei corsari tunisini non vole cessare e poi ci si mettono anche i cannoni nostri che al buio e tirano sui nostri legni… Vi è una grande epidemia di morbo asiatico che flagella il Regno di Napoli, la Francia e la Liguria, anche sulla nostra costiera v’erano stati dei casi, cosicché ci è arrivata una ministeriale dell’interno nella quale si hanno tante raccomandazioni sia per l’albergo delle persone forestiere, sia per le merci… Lo scalo dell’Allegri è molto sciupato e non è più usato né per caricare e scaricare le merci e neanche per lavare i panni…

Il quadro che via via prende forma dalla lettura è naturalmente molto più ricco, colorito e complesso di quanto traspare da queste brevi annotazioni. Il che non ci meraviglia poi troppo, dato che a quel tempo le acque dell’Arno, ancora navigabile, erano solcate da navicelli a remi, a vela, a stanga o a trazione animale che collegavano i vari porti fluviali trasportando anche da una riva all’altra merci e all’occorrenza persone. E poiché ai porti facevano capo molte strade, non solo i navicellai ma i barrocciai, e in genere tutti quanti viaggiavano per terra, sostavano presso le osterie, le locande, le taverne locali riportando chiacchere e notizie importanti dai luoghi vicini e lontani che avevano attraversato.

Le ricette? Accanto a quelle note a chi ben conosca la cucina toscana della tradizione e tuttavia modificate dalla personale esperienza dell’oste ce ne sono alcune di sua invenzione come quella, gustosissima e significativa, del “Sugo della miseria” che ha come sottotitolo “Il sugo non è Santo, ma dove casca fa miracoli” e che comincia così:

Quando si riesce a mettere insieme un bel lesso di carni, dopo s’avanza la carne bollita e sempre rifalla l’è una noiosità, cosiccome le polpette. Allora mi sono ingegnato di fare un sugo che possa essere gradevole…

Qualcuno si sconvolge se definisco Pennino un piccolo Artusi ante litteram?

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