È stata l’attesissima edizione del “si ricomincia”, della voglia di ripartire come e meglio di prima, provando a lasciarsi alle spalle l’annus horribilis della pandemia e puntando lo sguardo verso un orizzonte si spera più mirabilis.
E a proposito di bellezza, io un cielo novembrino così smagliante l’avevo visto poche volte, un fulgore di azzurro giottesco che sembrava dipinto apposta, tanto era perfetto come sfondo per far decollare il volo metaforico.


Al di là delle metafore invece, nel concreto l’organizzazione ha fronteggiato con efficacia le nuove esigenze dettate dalle norme anti contagio, convertendo le restrizioni in modifiche strutturali che hanno reso l’esperienza del Festival ancora più piacevole che in passato: produttori presenti in alternanza due giorni anziché per tutto il periodo, in modo da mantenere il giusto distanziamento, postazioni sedute per gli assaggi e affluenza di pubblico programmata.

Le sale Belle Epoque della splendida Kurhaus erano sicuramente gremite, ma senza la calca che caratterizzava le edizioni precedenti, con innegabile beneficio per tutti gli attori in campo. Più calma, più tempo a disposizione per degustare e parlare con i produttori, ma anche per godersi la bellezza diffusa di questi ambienti di un glamour senza tempo, alzando lo sguardo verso l’alto o il basso, a seconda della posizione rispetto alla celebre balconata centrale. E dalle vetrate, sciabolate di sole a far scintillare i calici, un boost di endorfine e luce di cui fare scorta per l’inverno.


Negli spazi satellite i vini naturali, bio e biodinamici di Naturae et Purae Bio&Dynamica all’Hotel Therme Merano, nella GourmetArena il focus sulle eccellenze enogastronomiche regionali, questa volta dedicato alla Campania, e nell’area Spirits Emotion la novità di Itinerari Miscelati, con i riflettori puntati su bartender e locali d’eccellenza della mixology italiana. E simposi, show-cooking, masterclass, la vivacità del FuoriSalone, col red carpet lungo il centralissimo Corso della Libertà, dove si affacciano bar, ristoranti e locali, passerella aperta a tutti.


La Catwalk Champagne che conclude la kermesse è stata davvero un gran finale: come sempre variegata, tra grandi Maison e piccoli produttori (c’era il mio amato Diebolt-Vallois da Cramant, piena Côte des Blancs, la rosa in etichetta l’ho adocchiata da lontano), senza dimenticare la presenza delle nostre migliori bollicine. A questo proposito, un grazie sentito al signore di Sguardi di Terra, che è riuscito non so come a risparmiare me e i miei vestiti, immolandosi sull’altare dell’anidride carbonica durante l’imprevisto scoppio del tappo del suo Lugana brut…


Davvero tanti gli assaggi nella Wine Hunter Selection (per chi non avesse familiarità con la kermesse meranese, il wine hunter è Helmuth Köcher, il patron dell’evento): i primi sono stati dedicati ad alcuni mostri sacri della Toscana, visto che non è cosa proprio da tutti i giorni trovarseli in fila uno accanto all’altro. E poi in giro per la Penisola, passando dalla laguna veneziana con l’autoctono Dorona, antico vitigno recuperato della laguna di Venezia grazie al progetto di Tenuta Venissa, al Piemonte di La Scolca della famiglia Soldati, con la finezza del loro Cortese, sia fermo che metodo classico, fino in Sardegna, nel cuore della Barbagia col Cannonau di Vigne Muzanu di Mamoiada. E non è ovviamente mancata qualche incursione fuori confine.

Segue una panoramica degustativa per forza di cose parziale e rapida, onde evitare il rischio abbiocco in fase di lettura. È un mini focus su territori cardine della Toscana, quella storica e quella moderna, quella più celebre e celebrata, e per un paio di vini anche celebrativa, nel senso di omaggio in etichetta a ricorrenze aziendali importanti. Quindi niente sordina, oggi va così, la Tuscany Ouverture del mio MWF è di quelle da gran sera.
In rigoroso ordine di apparizione (e in alcuni casi si è trattato proprio di luminosa epifania vinosa) Valdarno Superiore, Chianti Classico, Maremma centrale, Montalcino versante sud-ovest, Bolgheri, Montalcino versante nord.

PETROLO
Torrione 2019. Il padrino di questo vino, che assembla tutti i vitigni della tenuta (Sangiovese dominante, Cabernet Sauvignon e Merlot) è stato nientemeno che Giulio Gambelli. Definito lo Chateau di Petrolo a ragion veduta: pur giovane, avvolge con liquirizia, tabacco, spezie sullo sfondo di frutti neri.
Bòggina C 2018. Il grand cru di Sangiovese dal vigneto omonimo: intensi e stratificati i profumi di amarena, spezie, menta, corteccia, corpo da atleta e allungo notevole.


Galatrona 2019. Il portabandiera della Tenuta, il Merlot. Profondo, suadente, una passeggiata nel sottobosco con un cestino di mirtilli e una rosa tra i capelli. Sembra un incipit alterato di Cappuccetto Rosso, invece è sic et simpliciter un grande vino.

DOMINI CASTELLARE DI CASTELLINA
I Sodi di S. Niccoló 2017 Edizione speciale 40 vendemmie. L’uccellino icona si posa qui su uno sfondo nero anziché bianco per celebrare questo traguardo importante. Sangioveto e Malvasia Nera, tessuto fresco ed elegantemente compatto, profumi di frutta rossa in confettura, speziatura gentile, persistenza rimarchevole. Peccato essermi persa la 2016!


E da ROCCA DI FRASSINELLO, l’avamposto aziendale in Maremma firmato da Renzo Piano:
Ornello 2017. Sangiovese, con buona parte di Syrah, poi Cabernet Sauvignon e Merlot. Balsamicità, tostature e frutto maturo, tannino soffice, un maremmano morbido ma non languido. Comunicazione di servizio: l’ornello è il bastone di legno usato dai butteri per muovere il bestiame.


TENUTA LUCE
Luce 2017, 25˚ anniversario. Sangiovese e Merlot, Luce è stato il primo vino ilcinese che ha messo insieme i due vitigni. Prugne e anice, more e liquirizia, trama ricca e armonica, lungo finale dolcemente speziato.


Brunello di Montalcino Luce 2015. Annata giustamente celebrata. Succede quindi che pienezza ed eleganza si fondano, che la generosità polifenolica della stagione si rifletta nella seta dei tannini e nella definizione classica dei profumi: viola, ciliegia, tabacco…


ORNELLAIA
Poggio alle Gazze dell’Ornellaia 2019. Un bianco doveva per forza esserci e, per coerenza con l’approccio supertuscan del mio resoconto, metto questo Sauvignon di Toscana, con vassallaggio di Vermentino e Verdicchio. Profumi molto intensi, agrumati ed esotici, acididità scattante e graditissima sapidità.


Bolgheri Superiore Ornellaia 2018. Mi è capitato di assaggiare la 2017 e il raffronto con l’annata successiva mette in luce l’influenza su quest’ultima della stagione particolarmente piovosa. Intensità di profumi e maturità del frutto permangono, ma è più lieve la materia complessiva, un plus di eleganza anche nella freschezza del lunghissimo finale.


IL MARRONETO
Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2015. Dal versante nord di Montalcino, la creatura di Alessandro Mori è un Sangiovese che si esprime con estrema eleganza. Fiori e sottobosco, frutti rossi vivaci, liquirizia, sorso succoso impreziosito da accenno sapido. Dinamismo e classe. Le ali della bellezza sfarfallano.


Fine del mini focus sui vini toscani a Merano. Tantissimi altri i vini che avrebbero meritato un approfondimento, ma davvero troppi per raccontarli tutti: tra quelli nei saloni della Kurhaus e dell’Hotel Therme, senza contare quelli portati da alcuni addetti ai lavori alle cene e soprattutto senza dimenticare gli champagne di mezzanotte stappati sotto le stelle di Corso della Libertà…