Diciamo la verità: quanti fra i non addetti ai lavori avranno recepito con cognizione la notizia che la Banca Centrale Europea (BCE) ha alzato i tassi di interesse, cogliendone davvero il senso, le motivazioni e i possibili effetti? Non ci scommetterei granché.
Penso che questo sia uno dei tanti esempi di questioni che tendono a essere ignorate o non comprese appieno: sono molto tecniche per la maggioranza delle persone, e anche di non proprio immediata comprensibilità.
Ma hanno, possono avere, conseguenze dirette anche significative per ciascuno di noi, anche se non si è tra gli addetti ai lavori che si occupano di questi temi.
Ancora una volta, una notevole complessità con strettissime interdipendenze con altri eventi e fenomeni che alla fine incidono sul portafoglio e le scelte di ognuno di noi.
I fatti. Lo scorso 8 settembre, la BCE ha alzato i tassi di 0,75 punti base che, tradotto, significa dello 0,75%. A luglio scorso c’era già stato un altro aumento dello 0,50%, dopo ben 11 anni di tassi a zero. In due mesi dunque un significativo cambio di prospettiva. Come ha detto Christine Lagarde, la Presidente BCE, potrebbero tuttavia esserci ulteriori incrementi nei prossimi mesi, tutto dipenderà da come si evolve la situazione. Infatti molti analisti e commentatori lo ritengono probabile, se non addirittura auspicabile.
Cerchiamo di capire. Cosa sono i tassi di interesse di cui si parla e cosa significa allora che la Banca Centrale li alza o li abbassa? Perché?
Il tasso di interesse di cui parliamo rappresenta il costo del denaro, perché è il tasso al quale le Banche centrali prestano soldi alle altre banche per le loro attività. Nulla di strano, tutto normale.
La gestione dei tassi compete alle Banche Centrali, in Europa alla BCE, negli Stati Uniti alla Federal Reserve, per citare i due esempi più noti, che quindi nel corso del tempo possono abbassarli o alzarli, in base alle loro valutazioni dei fatti dell’economia e dei mercati finanziari.
Valutazioni presenti ma soprattutto prospettiche. La gestione dei tassi è la leva per antonomasia, quella più importante, a disposizione delle Banche Centrali per “intervenire” nelle reali condizioni dell’economia. Si parla di politica monetaria: le Banche centrali prendono molte decisioni per aumentare o ridurre l’offerta di denaro, il che a sua volta evidentemente ha ripercussioni sui mercati finanziari e sull’economia. Abbassare o alzare i tassi ha proprio questo obiettivo: con i tassi molto bassi o a zero c’è più movimento.
Bene, ma come fa la BCE a decidere quando è il momento di farlo? Quando è necessario (o magari solo opportuno) abbassare o alzare? Sono decisioni peraltro sempre molto difficili da prendere, in modo particolare in questo momento nel quale si sommano gli effetti, anche spesso perversi, della ripresa “a elastico” subito dopo la fase di chiusure per la pandemia, e della guerra in Ucraina.
Bisogna subito ricordare che uno degli obiettivi, il principale, della BCE e delle altre Banche Centrali è quello di mantenere il livello dell’inflazione nei Paesi ad un certo livello. Comunemente viene ritenuto che tale livello non dovrebbe esser superiore al 2%. Un tasso di inflazione riscontrato superiore al 2% richiederebbe perciò interventi per riportarlo a quel livello. Un’inflazione elevata viene considerata pericolosa: i prezzi al consumatore finale aumentano e il consumatore finale a parità di reddito vede ridursi la propria capacità di spesa. E questo può essere destabilizzante. Se non controllato, può alla lunga creare malcontento sociale con le possibili conseguenze del caso.
I prezzi di beni e servizi aumentano perché c’è più domanda rispetto all’offerta, cioè si vuole acquistare più di quello che si produce. Si è disposti a spendere, perché l’economia va bene. Pare strano, controintuitivo, pensando al nostro presente, ma è così.
In Europa, negli USA, la fine della fase acuta della pandemia ha innescato un rimbalzo pressoché immediato e molto forte delle economie che sono infatti cresciute in modo significativo. Anche quella italiana, come sappiamo. L’effetto elastico, come l’ho chiamato. Tutti a voler spendere subito, dopo i mesi di chiusure. Materie prime che sono venute quindi a mancare, difficoltà nel trasporto delle merci, rincari di gas e elettricità già prima della guerra ucraina. Inevitabilmente se la domanda è più alta dell’offerta i prezzi salgono. Infatti già nel 2021 si parlava di inflazione che stava rialzando la testa, ancorché i più ritenessero che fosse transitoria, temporanea, proprio per quell’effetto elastico, e che sarebbe stata riassorbita in tempi ragionevoli.
Non sembra sia andata così, invece. Christine Lagarde, annunciando il rialzo dei tassi di interesse, ha evidenziato come quello di inflazione medio europeo nel 2022 dovrebbe attestarsi all’ 8,1%, l’anno prossimo scendere al 5,5%. Siamo comunque assai distanti dal quel 2% ritenuto virtuoso.
Da qui la decisione di incrementare i tassi: rendendo più costoso il denaro, è più difficile prendere a prestito soldi e quindi più difficile fare investimenti, comprare, spendere, magari fare un mutuo per acquistare la casa. Tutto è come sempre molto legato.
In estrema sintesi e semplificando, per ridurre l’inflazione, brutta bestia, si cerca di raffreddare l’economia. Nel caso contrario, quando l’inflazione non è un problema e anzi occorre pompare, stimolare l’economia per fare sviluppo, si abbassano i tassi perseguendo effetti esattamente opposti. Il denaro diventa più facile e quindi l’economia alla fine gira più e meglio.
Sembra semplice, detto così, ma non lo è assolutamente. Le situazioni sono sempre molto complesse, gli effetti diretti e indiretti molteplici. Magari ciò che si pensa succeda con una certa consistenza, invece non accade o accade in modo meno incisivo.
Tornando alla decisione della BCE: per far scendere l’inflazione troppo alta, si raffredda l’economia. Ma occorre fare in modo che non si raffreddi troppo, perché altrimenti si potrebbe entrare in recessione, in crisi. Il famoso Prodotto Interno Lordo (PIL) potrebbe entrare in territorio negativo, non crescere ma decrescere.
Gli effetti della guerra in Ucraina, la pazzesca impennata del prezzo del gas e delle bollette complicano ulteriormente il quadro: con le bollette energetiche stratosferiche, i maggiori costi sostenuti dalle imprese per produrre hanno l’effetto di alzare i prezzi finali perché in qualche modo devono rientrare, magari parzialmente, da quei costi. Ma i prezzi crescenti alla fine li pagano i consumatori.
Ancora: l’euro ormai da tempo si è deprezzato rispetto al dollaro, ormai è alla pari (ha perso da inizio anno circa il 12%) come non succedeva da moltissimi anni. E’ un problema ulteriore, perché i prezzi delle materie prime sono in dollari. Anche questo quindi comporta l’innalzamento dei prezzi.
Tutto contribuisce all’inflazione. La BCE è intervenuta, e probabilmente lo farà ancora, nei termini che abbiamo detto, per tenere a bada il fenomeno ma il compito è delicatissimo. Non può osare troppo, perché altrimenti rischia di fare danni ancora maggiori. Un gravoso equilibrio da cercare e mantenere.

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